FITOESTROGENI E MENOPAUSA: INTEGRAZIONE UTILE O INUTILE? I FITOESTROGENI POSSONO RIDURRE I SINTOMI MENOPAUSALI?
Poiché le donne in menopausa sono diventate il target di una intensa attività di marketing per gli integratori dietetici a base di fitoestrogeni, obiettivo di questa tesi, è quello di valutare l’efficacia di questi composti come valido aiuto per le donne in menopausa, al fine di contrastare due importanti disturbi che caratterizzano questa delicata fase della vita femminile: i sintomi vasomotori ed il processo osteoporotico.
Vi ho riportato un pezzetto dell’abstract della mia tesi magistrale, discussa ormai qualche anno fa. La tesi si occupava principalmente di indagare se il regolare consumo di fitoestrogeni potesse in qualche modo alleviare i sintomi menopausali. Facciamo un passo indietro perché mi rendo conto che l’argomento potrà essere nuovo per mote di voi. Cosa sono questi fitoestrogeni?
Secondo la definizione del Working Group on Phytoestrogens della Commitee on toxicity of Chemicals in food, Consumer products and the Environment (COT Report, 2003), per fitoestrogeni si intende:
“Un qualsiasi composto o metabolita vegetale in grado di indurre una risposta biologica nei vertebrati, mimando o modulando l’azione degli estrogeni endogeni, generalmente attraverso un legame con i recettori estrogenici”.
Dalla premessa avrete pertanto compreso che questi fitoestrogeni, contenuti in molte sostanza naturali che vi dirò di seguito, possono “simulare” l’azione degli estrogeni femminili! Gli estrogeni sono ormoni secreti dalle ovaie e dalle ghiandole surrenali. L’estradiolo è il tipo di estrogeno secreto in età fertile, mentre durante la menopausa si produce una tipologia diversa a livello di tessuto adiposo: l’estrone, dalla formula chimica simile all’estradiolo, ma con minore efficacia. Quindi il ragionamento che è stato fatto da diversi studiosi (…e cause farmaceutiche varie…) è il seguente: “dato che in menopausa gli estrogeni diminuiscono, si possono usare i fitoestrogeni per **mimare** l’azione degli estrogeni mancanti”. Tuttavia, diversi studi hanno confermato che non funziona proprio così…
Apro una piccola parentesi per farvi capire dove si trovano questi fitoestrogeni.
Isoflavoni, lignani e cumestani sono i gruppi di fitoestrogeni più noti. Gli isoflavoni si trovano in percentuale elevata nella soia (la loro concentrazione si riduce però notevolmente nei derivati come la farina o il latte di soia) ma sono presenti anche nei fagioli, nei ceci, nei cavoli, negli spinaci, nei cereali e nel luppolo. Genisteina e dadzeina sono gli isoflavoni ritenuti dotati di più elevata attività e più studiati. Ricchi di lignani sono i semi di lino ma li contengono anche i cereali, i legumi, le verdure e alcuni frutti; i cumestani si trovano principalmente nel trifoglio rosso e nei germogli.
L’interesse del mondo scientifico per gli estrogeni vegetali è nato dall’osservazione che le donne orientali, rispetto a quelle occidentali, presentano una più bassa incidenza – in fase post-menopausale – di fratture ossee, malattie cardiovascolari, tumore alla mammella, sintomi neurovegetativi e vasomotori tipici del climaterio. Fra i vari fattori che, presumibilmente, potrebbero dar conto di queste differenze rientrano fattori genetici, dietetici e culturali. L’osservazione che, nelle persone di origine asiatica trasferitesi negli Stati Uniti, l’incidenza di malattie degenerative “occidentali” diviene, nell’arco di 1 o 2 generazioni, simile a quella delle popolazioni residenti, ha portato a ridimensionare il ruolo dei fattori genetici e a rivolgere l’attenzione ai fattori dietetici. Confrontando l’alimentazione delle popolazioni asiatiche con quella degli occidentali, una delle differenze più significative riscontrate risultava essere il maggior consumo di soia. Poiché la soia è ricca di fitoestrogeni, sono iniziate le ricerche per valutare i potenziali benefici di queste sostanze nella donna in menopausa, in base all’ipotesi che possano agire da modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni, con azioni positive a livello dell’apparato cardiovascolare, dell’osso e sui sintomi menopausali.
Sapete che l’azione dei fitoestrogeni è stata scoperta casualmente grazie a delle “pecore”? Non ci crederete ma è così! Nel 1940, il riconoscimento della “malattia del trifoglio” in pecore australiane, ha portato all’inizio dello studio dell’attività estrogenica degli isoflavoni. Le pecore, la cui dieta era prevalentemente a base di trifoglio (Trifolium subterraneum L, Fabaceae), soffrivano di diversi disturbi riproduttivi che comportavano una riduzione dei parti e dell’allattamento, anomalie agli organi genitali e infertilità permanente.
Questi fitoestrogeni possono quindi alleviare i sintomi della menopausa?
Mi dispiace dovervi dire che la maggior parte degli studi sono inconcludenti: ovvero la risposta è “non si sa”.
Per spiegarvi il motivo devo fare un passo indietro: partiamo dalle definizioni!
Prima della menopausa, la maggior parte delle donne entra in un’importante fase fisiologica: il climaterio. Si tratta di un periodo particolare, che dura in media 5 anni, durante il quale, le funzioni endocrine femminili sono considerevolmente modificate. La conseguenza di ciò è una grande irregolarità del ciclo: il mestruo può essere più debole (ipomenorrea) o più abbondante (metrorragia). Da questa fase di transizione della vita della donna si passa ad una successiva, nella quale tutto questo quadro sintomatologico appare di gran lunga accentuato: la menopausa. La menopausa viene definita come l’evento fisiologico che nella donna corrisponde al termine del ciclo mestruale e dell’età fertile. Solitamente la menopausa si presenta intorno ai 50 anni in modo generalmente graduale. Quando compare tra i 40 ed i 45 anni si parla di menopausa prematura, prima dei 40 anni si parla di menopausa precoce, dopo i 53 anni si parla invece di menopausa tardiva. Qualora sia conseguente a interventi di isterectomia (cioè in seguito all’asporto dell’utero) si parla di menopausa chirurgica dovuta fondamentalmente alla cessazione dei naturali cicli ormonali. Il sistema di regolazione del funzionamento delle ovaie si basa su interazioni complesse che coinvolgono il sistema nervoso centrale, l’ipotalamo e l’ipofisi.
Nella maggior parte dei casi la menopausa può essere accompagnata da disturbi e malesseri: a volte solo fastidiosi, altre volte possono compromettere la qualità della vita. I disturbi possono avere un carattere di tipo neuropsicologico, accompagnati quindi da: insonnia, astenia, irritabilità, ansietà, depressione e alterazione dell’umore. Accanto a questi c’è tutto un quadro di disturbi a carattere per lo più vasomotorio che possono quindi dare: vampate di calore, sudori notturni, cefalee, palpitazioni, capogiri. Inoltre, dopo qualche anno la densità ossea comincia a diminuire portando a problemi di osteoporosi, disturbi osteoarticolari come artrosi, deformità articolari e dolore articolare.
Oltre le vampate di calore, altri sintomi della menopausa, sono ad esempio secchezza vaginale, prurito e dispareunia. La riduzione del flusso di sangue e delle secrezioni vaginali, accompagnate ad alterazioni del pH vaginale, sono causate da un assottigliamento della parete vaginale, oltre che a un indebolimento della vescica.
Nel 70-80% dei casi i problemi più ricorrenti sono le vampate di calore ed i sudori notturni d’intensità e di frequenza variabili. Le vampate di calore possono variare in durata ed intensità, tuttavia i meccanismi responsabili di questo sintomo della menopausa non sono ancora del tutto noti. È stato ipotizzato che i ridotti livelli di estrogeni inducano una diminuzione delle concentrazioni endorfina nell’ipotalamo, aumentando di conseguenza il rilascio di noradrenalina e serotonina. Questi neurotrasmettitori abbassano il set point (punto di taratura) del nucleo ipotalamico della termoregolazione, il che permette ai meccanismi di dispersione calorica di essere attivati anche da lievi cambiamenti della temperatura corporea interna.
Nel 2002, la Women’s Health Initiative, diede vita ad uno studio che aveva inizialmente lo scopo di dimostrare l’effetto protettivo degli estrogeni nella prevenzione dell’osteoporosi e di alcune importanti malattie cardiovascolari. Si ottennero però risultati poco incoraggianti, infatti lo studio venne sospeso dopo cinque anni, rispetto agli otto previsti in origine, in quanto era divenuto chiaro che gli svantaggi e i rischi a lungo termine della Terapia Ormonale Sostitutiva superassero i potenziali benefici a causa dell’aumento di cardiopatie coronariche, tumori al seno, ictus cerebrali e trombosi polmonari. Le terapie ormonali sostitutive sono così ancora oggi oggetto di ricerche che hanno sollevato timori nelle donne circa i rischi di sviluppo di malattie come i tumori. Nonostante non si sia ancora giunti a conclusioni definitive circa il rapporto tra utilità e rischi delle terapie ormonali, cresce tra le donne la richiesta di maggiori informazioni sull’efficacia e la sicurezza di terapie alternative, per cui cresce anche il bisogno di risposte basate su solide basi scientifiche.
Molte donne in periodo menopausale, che non desideravano un approccio farmacologico, si sono così avvicinate a forme naturali di trattamento dei sintomi e delle conseguenze della menopausa utilizzando prodotti a base di isoflavoni di soia. E’ anche testata l’efficacia di due altre erbe, la cimifugae racemosa, detta anche cohosh nero, e il trifoglio, al fine di alleviare i sintomi della menopausa. A parte la soia, pianta oramai a tutti e nota, particolare rilievo ed attenzione hanno avuto negli ultimi tempi gli studi sul trifoglio rosso (red carpet), che risulta essere una fonte concentrata di composti fitoestrogenici.
Esiste sul mercato italiano una vasta gamma di integratori a base di fitoestrogeni, commercializzati per claims come “miglioramento dello stato di benessere nel periodo della menopausa”. Tali integratori sono costituiti da preparazioni estrattive dei fitoestrogeni a partire dalla soia, ma anche da altre piante non alimentari. Oltre alla Cimifuga e al Trifoglio (che sembrano funzionare meglio sulle donne “occidentali”), ci sono altre piante utilizzate in fitoterapia per i disturbi di carattere ormonale, quali ad esempio: Vitex agnus castus, Humulus lupulus (Luppolo), Angelica sinesi.
Inoltre tali integratori hanno mostrato tra loro una differente composizione quali-quantitativa suggerendo che la sorgente del materiale grezzo è estremamente variabile. Ad esempio, nel caso della soia, vengono usati isolati proteici, concentrati proteici, germe di soia, concentrati di isoflavoni che possono influenzare il profilo quali-quantitativo dei fitoestrogeni circolanti nel plasma. In Italia, secondo il Decreto del 9 Luglio 2012 del Ministero della Salute sulla “disciplina dell’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali”, aggiornato con decreto del 27 marzo 2014, l’apporto giornaliero di isoflavoni, da indicare in etichetta, non deve superare gli 80 mg.
I sintomi vasomotori in menopausa sono oggi al centro della discussione scientifica e non solo; questo perché il mercato offre una miriade di prodotti, prevalentemente integratori, per il controllo della sintomatologia climaterica, mentre la ricerca clinica spesso non ne conferma l’efficacia. Apparente o reale contraddizione? In realtà la cosa non stupisce per vari motivi: 1) i trial effettuati e considerati sono basati su una posologia media giornaliera di 40-80 mg di isoflavoni, tutt’al più sufficiente per una normale integrazione dietetica, quando abitualmente nella pratica clinica la posologia necessaria varia dai 100 ai 200 mg/die; 2) esiste un’enorme disomogeneità dei dati relativi alla tipologia dell’estratto utilizzato, alla presenza o meno di isoflavoni in forma glucosidica o agliconica; 3) altre variabili importanti non considerate sono infine la genetica del paziente che modula non solo il metabolismo dei farmaci ma anche la quantità dei recettori disponibili.
In conclusione, alla domanda se i fitoestrogeni possano essere un possibile aiuto per i sintomi vasomotori ed il processo osteoporotico in menopausa, non si può ancora formulare una risposta che abbia una certezza scientifica.
Sono necessarie comunque ulteriori ricerche per valutare l’efficacia degli isoflavoni in popolazioni etnicamente diverse e diversificare la supplementazione a seconda che si tratti di donne in peri-menopausa o in post-menopausa. Pertanto, per quanto riguarda i sintomi vasomotori, alla luce degli studi clinici analizzati, sebbene ci siano delle lacune riguardo i dati disponibili per sostenere le raccomandazione sui fitoestrogeni, alcune pazienti potrebbero beneficiare del loro impiego nella riduzione delle vampate di calore.
Pertanto, come dovrebbe mangiare un donna in menopausa? Ve lo dirò nel mio prossimo articolo!
Bibliografia (…oltre la mia tesi di laurea magistrale….)
- Committee on Toxicity of Chemicals in Food, Consumer Products and the Environment. COT Report – Phytoestrogens and Health. Food Standards Agency: London, 2003;
- Kingsbury JM. Poisonous Plants of the United States and Canada ed.; Prentice-Hall: Englewood Cliffs: New York. 1964;
- ESHRE Capri Workshop Group, Bone fractures after menopause. Hum Reprod 16(6): 761-773, 2010;
- Freedman RR, Menopausal hot flashes: Mechanisms, endocrinology, treatment. Journal of Steroid Biochemistry & Molecular Biology 142: 115-120, 2014;
- Nelson HD. Menopause. Lancet 371(9614): 760-770, 2008;
- Ososki AL, Kennelly EJ. Phytoestrogens: a review of the present state of research. Phytother Res 17(8): 845-869, 2003;
- Woods NF. An overview of chronic vaginal atrophy and options for symptom management, Nurs. Womens Health 16(6): 482-494, 2012;
- Rossouw JE, Prentice RL, Manson JE, Wu L, Barad D, Barnabei VM, Ko M, LaCroix AZ, Margolis KL, Stefanick ML. Postmenopausal hormone therapy and risk of cardiovascular disease by age and years since menopause. JAMA 297: 1465-1477, 2007;
- Zanolo L, Barcellona E, Zacchè G. Ginecologia e ostetricia. Milano, Elsevier Masson srl, 2007;